Counseling,  Virginia Vandini

LA VERA FORZA E’ NELL’INCLUSIONE

Il counseling, soprattutto per chi come me lo conosce e lo pratica da oltre un decennio, sa perfettamente che ha sofferto non poco per essere riconosciuto.

Così, non appena siamo stati regolamentati da una legge, la famosa legge n. 4 del 2013, subito diversi di noi hanno sentito il desiderio di prendere ufficialmente le distanze da alcune tipologie di percorsi con una matrice più spirituale che, non rientrando in toto nelle modalità concordate e definite dalla comunità scientifica, rischiano di compromettere e pregiudicare tutta la fatica finora svolta per il riconoscimento.

Questa posizione, è auto-evidente, crea nuovamente una frattura ed è quasi sorprendente che proprio noi counselor stiamo determinando una risposta simile dopo i nostri trascorsi…

La storia dunque è necessariamente destinata a ripetersi?

Credo di no. Credo che oggi sia possibile percorrere un’altra strada, un’altra possibilità di guardare e classificare le cose e che, nonostante le resistenze ancora presenti, siamo ormai prossimi a superare lo schema che divide tutto in “giusto e sbagliato”. Questa non è più l’unica scelta!

Bisogna considerare che lentamente l’umanità sta recuperando una comunicazione di tipo verticale collegandosi in questo modo alle proprie risorse interne e il counselor può e deve facilitare questo processo sebbene prevalga ancora nell’individuo una comunicazione di tipo orizzontale in cui si cerca di trovare le risposte attraverso l’altro.

A tal proposito ricordo la riflessione di un mio insegnante, John Littrell, professore ci Counseling presso la Colorado University, il quale sosteneva che il cambiamento del cliente è per l’87% determinato dalla persona stessa, il 12% dal rapporto di alleanza e fiducia che crea con il counselor e l’1% dalla tecnica che si utilizza nei setting.

Alla luce di queste considerazioni non bisogna fare certamente l’errore contrario, scivolando nella convinzione che non serva quasi a nulla formarsi all’interno di un percorso strutturato e rigoroso in quanto si ritiene che, per aiutare una persona in un momento di difficoltà esistenziale, basti collegarsi all’energia universale e farsi canale di guarigione.

La formazione, con la sua piattaforma teorico-pratica, riveste un ruolo fondamentale affinché chiunque si occupi di relazione di aiuto all’auto-aiuto abbia non solo gli strumenti, ma anche le abilità e le competenze necessarie per accompagnare realmente la persona ad un più alto stato di benessere.

I due aspetti, anima e tecnica, sono distinti ma intimamente legati l’uno all’altra. Ho svolto, a fine luglio, una giornata di counseling di gruppo presso un’azienda e una dipendente di questa società mi ha dato il seguente feed-back a conclusione del lavoro svolto “cara Virginia, è stato diverso lavorare con te oggi. Noi avevamo già fatto aula con altri formatori.

Ciò che proponevano era sicuramente interessante, ma non scendeva al cuore come invece sei riuscita a fare tu con noi mantenendo sempre alto il livello professionale. Questo approccio può cambiare molte cose. Lo sento”.

Non si tratta allora di separare per essere efficaci, ma di includere e integrare. Ed è proprio dalla cooperazione, dall’interdipendenza, dal sincretismo che nascono dei capolavori incredibili in ogni campo dell’esistenza.

Proprio ieri, mentre ero in viaggio, ho avuto la fortuna di riascoltare Bohemian Rhapsody dei Queen dove nel brano si ha un’introduzione cantata a cappella, un segmento in stile ballata, un passaggio d’opera e una sezione di hard rock. Risultato? Uno dei più grandi successi per il citato gruppo musicale che fa venire i brividi ogni volta che hai modo di sentirlo.

In barba a chi ancora sostiene che l’opera non si può confondere con altri generi musicali!

E poi non è proprio dal caos che nasce la vita?

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