Counseling,  Virginia Vandini

COSA FA IL COUNSELING.

Quando Marco arriva nel mio studio è pieno di rabbia. “Odio mio padre”, esclama. “Mi ha sempre denigrato e trasmesso mille paure per ogni cosa che volevo intraprendere”. Non mi ha mai sostenuto. Mai. Mi ricordo ancora quella volta in cui volevo imparare a suonare la chitarra. Avevo 12 anni. A scuola avevamo assistito a un concerto di una band e il chitarrista mi aveva letteralmente ipnotizzato. Il suono, il suo movimento sul palco avevano acceso una scintilla di fuoco dentro di me. Ero stato folgorato e volevo assolutamente imparare a sonare anch’io quello strumento magico. Così, arrivato a casa, corsi da mio padre per dirglielo. Lui, neppure mi guardò. Non alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo. Solo disse dopo qualche istante di interminabile silenzio: “No. Non serve a niente. Impara a dedicare il tuo tempo alle cose che contano e ti danno sicurezza. Chi suona uno strumento o cose simili non va molto lontano nella vita”. Era una frase che non ammetteva repliche. E infatti non si tornò più sull’argomento.


Inizia da qui il nostro percorso fatto d’incontri settimanali dove, di volta in volta, Marco racconta la sua storia di rinunce e sofferenza. Soprattutto racconta i suoi sogni dimenticati nel cassetto e della sua voglia di ricominciare a 40 anni. È affollato di idee con stati d’animo carichi di ansia e agitazione. Il clima di ascolto, empatia e accettazione in assenza di giudizio nel setting favorisce Marco a mettere meglio a fuoco i suoi desideri, a orientare in modo costruttivo le sue energie e a pacificare la rabbia verso il padre.


La nemesi arriva proprio in occasione di un incontro familiare dove Marco condivide il progetto di lasciare il suo posto in banca per aprire una scuola di musica. Il padre scuote la testa e con tono sprezzante afferma: “Possibile che alla tua età pensi ancora a queste assurdità e non hai messo la testa a posto?”. Marco ascolta quelle parole e si accorge che non c’è astio dentro di lui. Questa volta sorride e risponde: “Papà, questa è la tua visione della vita e la rispetto. Sarebbe bello che anche tu potessi fare lo stesso con me, ma non lo pretendo perché ho capito che questo è il tuo modo di amarmi e di starmi vicino”. Il padre, di fronte a quelle parole, ammutolisce e cambia volto. È evidentemente turbato ma non aggiunge nulla. Non può. Marco lo accarezza con lo sguardo e, per la prima volta non vede il padre. Vede l’anima di quell’uomo prigioniera di se stessa, dei suoi schemi, delle sue convinzioni e sente una tenerezza infinita ma anche una gratitudine profonda perché ora sa che ha ricevuto il meglio possibile da quella relazione, da quell’incontro, da quell’amore.

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